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GGG. I bambini salveranno il mondo

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Spielberg fa film per bambini e sui bambini. Almeno metà della sua produzione cinematografica è infatti pensata a partire dai bambini, dal sé bambino che continua a vivere in lui: da ET passando per Schindeler’s List fino a A.I. e prima a Jurassic Park, senza considerare la saga di Indiana Jones. Altrimenti perché avrebbe girato GGG? Del mondo infantile gli interessa lo stupore, la paura, la curiosità, la sorpresa, l’esagerazione, il dolore, la gioia, la perplessità, l’insicura sicurezza. Gli interessa il rapporto tra grande e piccolo, tema che è al centro di GGG, oltre naturalmente quello tra il Male e il Bene, che è sicuramente uno dei motori segreti della sua cinematografia, la più americana, ma anche la più ebraica delle cinematografie di quel continente. Spielberg condivide con Woody Allen le stesse angosce e le medesime paure, tutte molto ebraiche, ma il californiano le svolge in chiave non individualistico-nevrotica bensì epico-salvifica. In questo senso il suo ebraismo non è quello dei Profeti, ma quello dei Re. Per questo ha preso la storia di Roald Dahl e l’ha portato sullo schermo: alla fine arrivano i nostri, che non sono più gli elicotteri di Apocalypse Now di Coppola, quanto quelli della più pacifica Regina d’Inghilterra mandati a prelevare i nove orripilanti mostri che giacciono nudi nel Paese-che-non-c’è. Di Dahl il regista americano ha conservato l’atmosfera onirica, anzi l’ha dilatata soffermandosi più ancora dello scrittore inglese sui sogni che il Gigante buono cattura, dandogli una forma e una dimensione che nel libro hanno meno. Li ha trasformati in forme galleggianti azzurrine, stemperando un poco l’aspetto sognante che Dahl intendeva dargli, diffondendolo in tutto il romanzo, mentre per esigenze visive Spielberg l’ha localizzato nello spazio filmico oggettivandolo con luci e giochi prospettici.

 

L’opera di Spielberg ha reso ancora più evidente la dipendenza che GGG libro ha dai disegni di Quentin Blake, così che il personaggio del film è modellato su quelle delle illustrazioni che costellano il volume. In questo Spielberg non ha avuto bisogno di inventare nulla, gli è bastato realizzare personaggi e scenografie ricalcandole dalle linee in bianco e nero di Blake. Naturalmente il colore ce l’ha messo tutto lui, non solo perché i disegni sono in bianco e nero, ma perché il libro di Dahl è in un certo modo privo di colori. Ci sono, ma sono quelli imprendibili della fantasia, la quale è agitata dall’insopprimibile  fantasma cannibalico (l’interdetto qui non si mescola con quello dell’incesto, anche se qualche possibile allusione c’è). I giganti e gli orchi come nelle fiabe sono mangiatori di carne umana, in particolare di bambini. I BauBau divorano. Dahl ha insistito su questo aspetto, mentre la lotta tra il Bene e il Male, tra GGG e i nove fratelloni, è più al centro del film di Spielberg. Di più: il rapporto adulto e bambino (qui bambina al femminile) è il vero fulcro della cinematografia del regista americano.

 

 

 

I bambini sono portatori di un’istanza insopprimibile, che mette in crisi gli adulti, li ridicolizza, li pone in scacco: mostra nella loro vera dimensione di personaggi piccoli piccoli. Sofia e il suo Gigante buono manifestano la vera coppia soggiacente alla poetica di Spielberg. Lo scarto di dimensioni è incolmabile, ma la saggezza e l’istintiva volizione al bene della piccola orfanella porteranno la storia verso la sua positiva soluzione; così come in ET sono i bambini che salveranno il mondo e gli restituiranno il suo equilibrio perduto. L’orfanella incontra un padre tenero che, per rispettare la leggenda dell’Orco, la rapisce e la conduce con sé nel pericoloso paese abitato da Inghiotticicciaviva e Ciuccia-budella, ma poi si convertirà alla soluzione happy end che la favola americana raccontata da Spielberg sempre impone. Sofia con l’ausilio dell’aiutante magico GGG ordirà un piano mirabolante per salvare i bambini dai loro divoratori seriali. Quanto c’è di memoria dell’Orco nazista nella storia imbastita da Dahl? Forse qualche reminescenza, di sicuro, perché lo stereotipo del Gigante mangiabambini ha qualcosa del tedesco cattivo. Un residuo del combattimento bellico dell’autore? Dahl mescola tutto con tutto anche in questa fiaba per bambini adulti e mette i suoi piccoli lettori a contatto con lo spiacevole e con il perturbante mediante una costruzione felicissima, che ha negli Sporcelli il suo culmine (il lercio come fantasia di azione, la pozzanghera melmosa in cui sguazzare). Inoltre irride l’ordine britannico, le sue regole e discipline, elemento che Spielberg rende con molto piacere e parecchia allegria (la scoreggia come motore del Mondo).

 

 

Anche l’altra grande invenzione dello scrittore – la lingua smozzicata e manipolata del gigante, straniero a se stesso – è stata afferrata da Spielberg con perfetta aderenza al testo, resa dal traduttore dei dialoghi seguendo quella del libro edito da Salani. Che GGG sia anche una sorta di Golem benefico e dotato di pensiero proprio, un Frankenstein naturale? Possibile. Nel calderone dove Spielberg ficca le ispirazioni recondite e palesi dei suoi film può esserci anche questo. C’è comunque il tema del grande e del piccolo, reso benissimo dai suoi effetti speciali che allentano l’atmosfera vagamente gotica che si respira nel libro di Dahl. Il tema della dimensione attrae Spielberg: dimensione che hanno le cose e le persone, gli avvenimenti e le storie. Il regista è portato al grande e anche in questo film gli riesce di dare una risoluzione gigantistica alla sua ambizione di narratore di storie: solo grandi storie.

 

 

 

Visto adesso, dopo la vittoria di Trump, questa favola cinematografica può insegnarci qualcosa? Può dire qualcosa dell’America che non produce più Happy end nel cuore del suo potere? L’ebreo americano Steven Spielberg quando ha cominciato a girare questa fiaba per adulti-bambini si immaginava la vittoria del Gigante Cattivo, dell’Inghiotticicciaviva? Arriveranno gli elicotteri di Sua Maestà Britannica a trasportare nel grande buco i cattivi Giganti (nel film uno scoglio in mezzo a un mare procelloso)?

 

Dopo la Brexit c’è da scordarselo. Seduti in una sala cinematografia in mezzo a un pubblico vociante di bambini che divorano canestrelli di popcorn ho i miei dubbi, e anche se non ho avuto paura e non mi sono emozionato, come invece nel finale di ET, ho senza dubbio sperato che i cavalleggeri dell’aria inglesi arrivassero a imprigionare gli Orchi fuori dallo spettacolo, nella cosiddetta realtà, e a salvarci. Nessun applauso in sala. Poi via tutti verso le uscite, quelle di sicurezza. Anche al cinema non si esce più da dove si è entrati, per banali ragioni di sicurezza: tutti all’uscita di servizio e via a sperare che l’Orco americano venga legato stretto stretto con fitte corde e deposto nel buco-senza-fondo. Cari  Sofia e GGG fate il miracolo, vi prego.     

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Steven Spielberg, Roald Dahl

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